La faccia di Vittorio, il facciale dei Borbone

  
«Diventando italiani, non abbiamo cessato d’esser napoletani»
(Francesco De Sanctis, Ministro della Pubblica Istruzione del Regno d’Italia)

Alla conquista militare delle Due Sicilie, e alla successiva annessione politica col plebiscito del 21 ottobre 1860, non seguì il governo diretto di Torino. La transizione di sovranità fu gestita con l’istituto della luogotenenza, sia al di qua che al di là del Faro.

A Napoli si insediarono Luigi Carlo Farini (6 novembre 1860), il Principe Eugenio di Carignano (7 gennaio 1861), Gustavo Ponza di San Martino (16 maggio 1861) e il Generale Enrico Cialdini (14 luglio 1861).

A Palermo si avvicendarono Massimo Cordero Lanza di Montezemolo (6 novembre 1860), il Generale Alessandro della Rovere (14 aprile 1861) e il Generale Ignazio de Genova di Pettinengo (5 settembre 1861).

La luogotenenza fu abolita il 9 ottobre 1861 a Napoli, il 17 dicembre 1861 a Palermo.

Questa singolare fase di transizione è testimoniata dai francobolli delle Province Napoletane, manifestazione tangibile del servizio postale istituito dal Luogotenente Farini (col Decreto n. 156 del 6 gennaio 1861) ed entrati in circolazione il 14 febbraio (il giorno dopo la resa di Gaeta).

Il fornitore storico dei francobolli di Casa Savoia – il Cavalier Francois Louis Philippe Matraire –  ne curò la realizzazione sulla falsariga della quarta emissione di Sardegna, ma in moneta borbonica, con lo stesso spettro di facciali dell’emissione napoletana del 1858, integrato dal valore da ½ tornese per le stampe e i giornali (a sostituire ciò che erano stati il ½ tornese garibaldino  prima e il ½ tornese di Farini poi). 

Biglietto da visita del 1855 del “graveur” (incisore) Matraire, 
con officina in “Rue du Po” (Via Po) a Torino.

I francobolli delle Province Napoletane sono gli unici al mondo a esser nati con la faccia del Re appena arrivato e il facciale di una Casa reale spodestata, un contrasto che ben fotografa tutte le contraddizioni dell’interludio istituzionale, non meno doloroso delle battaglie sul campo per la conquista fisica dei territori.

Qui, ora, comando io – dice il profilo austero di Vittorio Emanuele, primo Re d’Italia.

Qui comandiamo ancora noi ribattono i chiassosi tornesi e grana sotto l’effige del nuovo Sovrano, talvolta colpita da annulli borbonici, a rimarcare il persistere nella neonata Italia di usi e costumi tutti napoletani, a ricordare che diventando italiani non abbiamo cessato d’esser napoletani.

 

 

 

Le tariffe postali sarde alzavano il primo porto delle circolari da ½ tornese a ½ grano,
ma i funzionari continuarono ad stampe e circolari ai giornali
– come avveniva nella passata amministrazione borbonica –
per i quali permaneva la tariffa agevolata da ½ tornese, introdotta da Garibaldi.
La circolare contiene l’elenco ««delle diverse leggi  che si vanno emanando
per lo sviluppo politico e amministrativo di queste Province Napoletane»,
di cui lo stabilimento di Gaetano Nobile
–  «un intelligente tipografo», «per il maggior onore della tipografia nostra»
come lo descriveva una guida della città di Napoli del 1834 
stava curando tutte le stampe.

 


 

                             

 


 



 

 

 


 

                        
Il Giornale Officiale di Napoli dell’1 e dell’11 dicembre 1860
dava conto dell’istituzione di un ufficio postale al porto di Napoli:
«La Direzione Generale delle Poste, per comodo del Pubblico,
ha stabilito un nuovo Uffizio Postale nella Capitaneria di Porto all’Immacolata,
dove si potranno solamente immettere le lettere di spedizione per vie di Mare
fino a mezz’ora prima della partenza di ciascun piroscafo».
Il nuovo ufficio fu dotato di un bollo ovale, con la data al centro 
e la dicitura “Ufficio postale del Porto di Napoli”, in tutte maiuscole. 
Il bollo fu al principio impresso in rosso al tergo delle corrispondenze
e in seguito impiegato come annullatore di francobolli (di regola in nero).
Sul finire dell’agosto del 1861 fu da un bollo circolare a date, 
di piccole dimensioni, con al dicitura “Napoli al Porto”.
 
 
 
Dal Regno d’Italia per l’interno (ex Regno di Sardegna):
tariffa di 5 grana per spedizioni in territorio italiano, fuori dalle Province Napoletane.



Dal Regno d’Italia verso Trieste (Impero Austriaco):
tariffa di primo porto per le lettere non franche, tassata in arrivo per 15 soldi.




Dal Regno d’Italia verso Roma (Stato Pontificio):
tariffa di 5 grana per il porto di lettere semplici sino al confine,
con successiva tassazione di 8 bajocchi per il tragitto interno,
in assenza di convenzioni postali tra il Regno d’Italia e lo Stato Pontificio.

 

 



 

 

La legge 788 del 24 agosto 1862 stabilì l’abolizione di tutte le monete delle decadute amministrazioni preunitarie nonché le modalità dei cambi di valuta.

In attesa dell’analoga riforma postale – che sarebbe entrata in vigore nell’ottobre del 1863 – le Province Napoletane attraversarono un curioso periodo transitorio caratterizzato dalla compresenza di francobolli in grana e tornesi e di monete in centesimi e lire.

L’amministrazione postale intervenne per disciplinare il ritiro di quegli strani francobolli con la faccia di Vittorio e il facciale dei Borbone, che non avevano più ragion d’essere, e la loro sostituzione coi valori postali italiani.

L’articolo 117 del Bullettino Postale n. 8 del 1862 precisò tempi e modi del passaggio di consegne. 

Si stabilì dunque che i francobolli italiani – i dentellati e quelli della IV emissione sarda – entrassero in uso a partire dall’1 ottobre 1862, con un periodo di tolleranza di quindici giorni per i francobolli delle Province.

Il sipario iniziava a chiudersi sulla napoletanità. O almeno così sembrava…

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