In controluce: la cartiera Bonaventura Tajani

Il francobollo è un oggetto istituzionale fatto di carta, e la carta delle istituzioni – come ogni carta pregiata – porta addosso il suo marchio d’origine: la filigrana.

 

La filigrana non è un’aggiunta successiva alla fabbricazione della carta, come le immagini o le scritte che vi si stampano sopra. La filigrana nasce insieme alla carta, è un tutt’uno con la carta, è un disegno formato durante la sua lavorazione, che ne riduce lo spessore nei punti in cui si trova. La filigrana è il genoma della carta, visibile in controluce.

La possibilità di filigranare fu una scoperta casuale, conseguenza del deposito di corpi estranei sulla carta umida, durante il processo di essiccamento. «Un filo che nella forma metallica si sia staccato o piegato lasciando il segno sul foglio di carta nel corso della lavorazione» – spiega lo storico Gasparinetti, nel saggio Carte, cartiere e cartai fabrianesi – «può aver suggerito l’idea di dare a questo filo una forma definita e così si spiegherebbe la rudimentalità e semplicità delle primissime filigrane, le quali poi, con il tempo e con i maggiori mezzi di cui si è potuto disporre, sono andate a mano a mano perfezionandosi».

La pratica di filigranare si sviluppa in Italia, a Fabriano, alla fine del XIII secolo, contestualmente con l’introduzione della carta in Europa. Al principio c’è solo il desiderio di dare un contrassegno artistico alla propria produzione, ma poi subentra la necessità di distinguere i tipi di carta e il formato dei fogli, di stabilire i periodi di fabbricazione e identificare i committenti. Da allora sarà un continuo germogliare di segni, dai più semplici e sobri sino ai più bizzarri e fantasiosi.

 
BT: le iniziali di Bonaventura Tajani.

Già nell’Ottocento le città della costiera amalfitana vantavano una nobile tradizione nella produzione della carta a mano.

Vietri di Salerno arrivò per ultima, ma conquistò subito un ruolo di primo piano, al punto che l’Intendente del Principato Citra giudicava le cartiere del Travertino «superiori a tutte le altre della costa di Amalfi»; e proprio a una cartiera di Vietri fu assegnato il compito di fornire la carta (filigranata) su cui stampare i francobolli del Regno di Napoli.

Il 28 ottobre 1857 le Poste di Napoli stipularono un contratto con i signori Bonaventura Tajani e Francescantonio Fusco, di Vietri: 19 articoli per precisare «patti e condizioni» della fornitura della «carta velina senza colla» (come la definiva l’articolo 1).

L’articolo 18 chiariva il ruolo dei due appaltatori: «Il signor D. Francescantonio Fusco si costituisce fidejussore solidale e continuatore dell'appalto, in caso di morte, che sia lontano, del signor Tajani». Il Tajani era quindi la figura principale, Fusco la secondaria.

Lo stemma della famiglia Tajani.

La presenza a Vietri dei nobili Tajani è documentata già dal XI secolo.

L’esponente di spicco è il magistrato Diego Tajani, figlio di Giuseppe Tajani, braccio destro di Gioacchino Murat nel decennio francese, poi esiliato a Locride, in Calabria, a seguito della caduta di Napoleone. Il furore politico di Giuseppe passò al figlio Diego come una tara genetica.

Nel 1858 il Tajani difende i superstiti della spedizione di Sapri davanti alla Gran Corte Criminale di Salerno. La polizia borbonica lo sorveglia, e lui ripiega in Piemonte. Nel 1859 abbandona l’attività forense per arruolarsi nell’esercito come soldato semplice, per poi esser promosso colon­nello nel corso della guerra del 1859Cavour lo chiama a organizzare i tribunali nei territori del decaduto Regno delle Due Sicilie, dopo la spedizione garibaldina. Nel 1861 si trova a Napoli, per sciogliere il Corpo di pubblica sicurezza reclutato tra i camorristi da Don Liborio Romano. Rientra in magistratura e raggiunge il grado di Procuratore Generale presso le Corti d’Appello di Catanzaro e Palermo, tra il 1867 e il 1872. Conclude la carriera in politica, prima come deputato di Amalfi, nel 1874, e infine come Ministro di Grazia e Giustizia e dei Culti dei Gabinetti, tra il 1878 e il 1887.

Rimane memorabile il suo discorso al Parlamento italiano il 12 giugno 1875, il più violento attacco alla Mafia che sia mai stato sferrato in una sede istituzionale.




Il cartaro Bonaventura Tajani forse non aveva lo stesso ardore patriottico di Diego, e di sicuro non ebbe remore a mettere la sua opera al servizio dei Borbone, ma anche lui – a suo modo – riuscì a scrivere una pagina di storia.

L’articolo 6 del contratto di fornitura precisava la forma della filigrana dei francobolli napoletani: «la carta porterà impresso, secondo filograni, la leggenda, in giro de’ quattro lati, bolli postali; più N. 40 gigli sparsi nel campo ripartiti in dieci linee orizzontali, ciascuna di quattro gigli, ed in uno degli angoli le lettere iniziali B-T-, le quali indicano il nome e cognome del Sig. Tajani».

La filigrana era dunque formata da 40 gigli borbonici (che nei fatti variavano per forma e dimensione); all’esterno del foglio vi era una doppia linea con all’interno una sinusoide, interrotta dalla dicitura “BOLLI POSTALI” su tutti e quattro i lati; nell’angolo inferiore sinistro si trovava la sigla “BT”, a richiamare le iniziali di Bonaventura Tajani.

La disposizione della filigrana sul foglio dei 200 francobolli napoletani, 
 se la stampa fosse stata perfettamente centrata, eseguita a regola d’arte. 
 Rimanevano possibili delle collocazioni alternative,
 corrispondenti a diverse disposizioni del foglio sulla lastra,
 da cui la variabilità del posizionamento effettivo della filigrana.
 Gli spazi vuoti erano peraltro così ampi da permettere francobolli senza filigrana,
vanificandone lo scopo di misura di anti-contraffazione.

E così, dopo l’incisore Giuseppe Masini con i suoi segni segreti, anche il cartaro Tajani trovò occasione di tramandare il suo artigianato, per lasciare un ricordo imperituro di sé, con la traccia delle sue iniziali sui francobolli napoletani.

    
2 grana del De Masa con monogramma “BT” completo.
Un solo esemplare possibile, nel foglio di 200, in ipotesi di centratura perfetta.

L’articolo 17 del contratto di fornitura ne disciplinava la durata, che «sarà di anni sei da oggi decorrenti» vale a dire sino al 28 ottobre 1863.

Ma dopo appena due anni – il 28 ottobre 1861 – il Regno delle Due Sicilie si era inabissato: la battaglia del Volturno – tra il 26 settembre e il 2 ottobre – aveva sancito la supremazia di garibaldini e piemontesi sui borbonici, e il plebiscito per l’annessione al Regno di Vittorio Emanuele II – il 21 ottobre – aveva dato una legittimazione politica all’azione militare.

Il Tajani passò indenne da un potere all’altro, e le iniziali del suo nome si trasferiranno dai francobolli borbonici a quelli della dittatura garibaldina e della luogotenenza dei Savoia: il monogramma “BT” comparirà anche sul ½ grano di Garibaldi e poi sul ½ grano di Farini, in un ideale se pur involontario ricongiungimento con le idee e le azioni del più celebre Diego.

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