Fora i Savoia!

 
«Fora, fora Manuele
lu Cavour e lu Farini
purzi tutti st’auti assassini
se ne vanno a fà squartà.
Manué si vuò fa lu Re
va a Turino, siente a me!»
 (Verso iniziale di una canzone popolare dei lazzaroni napoletani,
portata a Messina da una signora che il 13 gennaio 1861 raggiunse il marito,
e diventata l’inno dei fedeli borbonici impegnati nell’ultima resistenza)

Fora, fora Manuele! Era il grido esasperato di chi non poteva invertire il senso di marcia, e si sfogava con l’insulto alla nuova dinastia di padroni.

Fora, fora Manuele! Con i pochi ricchi sempre più ricchi, approfittando di leggi ideate da loro su misura per loro, a sfregio di una massa di poveri sempre più poveri, senza vie d’uscita.

Fora, fora Manuele! E va da sé che un’espressione così brutale investiva non solo la famiglia reale, ma l’intero Palazzo, il Governo, le istituzioni, i ciambellani, i militari.

Fora, fora Manuele! Finché l’opposizione ingenua si trasformò in una lotta armata, in una guerra civile che si rivelò il moto rivoluzionario più lungo e spaventoso dell’intero Risorgimento.

Fora, fora Manuele! E i Sardi videro spuntare bandiere borboniche sopra ogni vetta.

Fora, fora Manuele! E le grida Viva Francesco II risuonarono di continuo.

Fora, fora Manuele! E i busti in gesso di Vittorio Emanuele e Garibaldi andarono in frantumi.

Fora, fora Manuele! E tutto ciò non era forse un programma politico abbastanza chiaro? O si voleva negare il suo carattere partigiano di causa nazionale, sol perché mancavano capi noti o militari?

Fora, fora Manuele! Perché «io non so niente di suffragio» – doveva ammettere uno sconsolato Massimo d’Azeglio – «ma so che di qua del Tronto non ci vogliono 60 battaglioni e di là sì».

Fora, fora Manuele! Perché «gl’Italiani hanno il diritto di far la guerra a coloro che volessero mantenere i tedeschi in Italia; ma agli Italiani, che restando Italiani non volessero unirsi a noi, credo che noi non abbiamo il diritto di dare delle archibugiate».

«Quello ch’appellavano brigantaggio era guerra» – scriverà Giacinto de’ Sivo – «e la più terribile che mai popolo facesse a dominatori ingiusti; perché lor toglieva sangue, moneta, e riputazione».

Fora, fora Manuele!

 
Giornale Il Salentino, affrancato con un esemplare da ½ tornese delle Province Napoletane,
annullato col doppio cerchio grande “Lecce 10 apr 1862”
e con al verso il timbro di arrivo “Maglie 10 apr. 1862”.
L’effigie di
Vittorio Emanuele II, il primo Re d’Italia,
porta in giro per il nuovo Regno le notizie di episodi di brigantaggio.
«La compagnia Coppi, Comandante la prima divisione Crocco (così si firma nei viglietti da visita)
forte di 150 briganti ricattò il signor Nannarone di Foggia di diecimila ducati,
di molte bardature, abiti, anelli, polvere e munizioni…
Il sacerdote Cibelli di Troia preso dagli stessi briganti poiché gli ebbero cavati gli occhi,
fu bruciato perché sacerdote liberale.
Otto cavalli ed un mulo sono stati scannati verso Manfredonia al sig. Roperzi.
Tra Ascoli e Cerignola dopo avere scannati bovi e pecore al signor Aulilio Anoli
hanno incendiato tutto quanto esisteva nella masseria, di utensili di campagna e foraggi!
Alle vicinanze dell'Ofanto 200 briganti, comitiva Cappa, aggrediti da 45 bersaglieri
sonosi dati alla fuga lasciando morti 15 dei loro, tra i quali il capo Coppi
- Il tenente e due soldati dei bersaglieri feriti…
Quanto vi è detto è quello che si conosce da tutti,
immaginatevi poi quanti altri avvenimenti passano sotto silenzio,
non potendosi tutto dire per non capitar peggio,
e sia perché siamo oramai stanchi di parlare al vento!!
Se non viene Garibaldi, e con poteri in queste parti meridionali
la completa rovina nostra è consumata già…
»

Commenti

Post popolari in questo blog

Vi presento il Signor Fabiani

“Al di qua del Faro” - Napoli 1858-1863

Finché Venezia salva non sia [*]