All’ombra del Grande Tessitore

 
Camillo Benso Conte di Cavour e Costantino Nigra:
il Grande Tessitore e la sua ombra.

Costantino Nigra nasce nel 1828 a Villa Castelnuovo, vicino Torino, in una famiglia dell’alta borghesia d’orientamento liberale. Studia giurisprudenza, ma allo scoppio della guerra del 1848 si arruola volontario nella Compagnia dei Bersaglieri Studenti. Torna sui libri, si laurea e nel 1851 Massimo d'Azeglio – Primo Ministro e reggente degli Esteri – gli assegna il ruolo di segretario per il disbrigo della corrispondenza diplomatica. Lo segnala quindi a Cavour, nuovo Presidente del Consiglio, che continua a servirsene come addetto alla corrispondenza. Conosciutolo meglio, lo vuole con sé ai negoziati del Congresso di Parigi nel 1856, a conclusione della guerra di Crimea; e poi a Plombières, nel 1858, per prendere accordi con Napoleone III in vista di una nuova guerra all’Austria; compie sei missioni segrete a Parigi, tra il 1858 e il 1859, per definire i passaggi diplomatici, militari e finanziari dell’alleanza franco-piemontese; segue le istruzioni di Cavour, ma è lui a rapportarsi a una gran varietà di interlocutori con intelligenza politica, intuito e duttilità. Ritorna a Parigi sul finire del 1859 e vi rimane fino al 1876, impegnato in un’azione diplomatica mastodontica, col neonato Regno d’Italia impelagato in continue “questioni” (meridionale, veneta, romana).

Conosce una sola parentesi, aperta nel gennaio del 1861, quando Cavour lo invia a Napoli ad assistere il nuovo Luogotenente, il Principe di Carignano.

Il 20 Maggio 1861 Nigra scrive al Conte per «presentare a V.E. un sunto dell’amministrazione delle Provincie Napolitane dal principio del corrente anno fino ad oggi».

Rappresenta le «gravi difficoltà incontrate dal Governo», «in qualche parte provocate da fatti recenti e transitori», ma per lo più dovute «a cause remote e più o meno durevoli». Precisa come alcune scelte politiche – «[l]o scioglimento dell’esercito borbonico, le misure prese a riguardo dell’esercito meridionale» e «i capitoli di Gaeta che permisero a Francesco Secondo il soggiorno a Roma» – hanno provocato «seriissimi imbarazzi».

Ma i singoli eventi – pur rilevanti – «non avrebbero di per sé soli dato luogo ai torbidi scoppiati nelle provincie e a Napoli stessa, senza la coesistenza di una condizione generale di cose, la cui gravità non poteva nemmeno sospettarsi».

Nigra denuncia una «immensa piaga» che affligge l’amministrazione pubblica. «Gl’impiegati in numero dieci volte maggiore del bisogno. Gli alti impieghi largamente pagati, insufficientissimi gli stipendi degli altri. Quindi corruzione e peculato ampiamente e impunemente esercitati. Abuso di pensioni di giustizia e di grazia. […]. Le spese di amministrazione molto maggiori di ogni più largo calcolo».

L’attenzione si appunta sulle interrelazioni tra livello di scolarizzazione, sicurezza pubblica e sviluppo industriale. «Istruzione elementare nessuna, la secondaria poca e insufficiente. L’universitaria anche più poca e cattiva. Trascurata più ancora l’istruzione femminile. Quindi ignoranza estrema nelle classi popolari. Non sicure le strade, né le proprietà, né le vite dei cittadini. Neglette le provincie. Poco commercio malgrado le risorse immense di paese ricchissimo. Pochissime le industrie. Perciò aggiunta all’ignoranza la miseria e la fame». E – neanche a dirlo – «in tutti i luoghi pubblici esercitata largamente la camorra».

Ne trae comunque una speranza: «se le popolazioni napolitane han potuto resistere a tanti mali per sì lungo tempo, ben doveva essere tenace la loro tempra, e profonda la coscienza del loro diritto». 

Si sofferma infine sull’eredità garibaldina, dopo averne ricostruito la genesi. «Il Governo del Re accettava tutta l’eredità della rivoluzione senza potersi valere dei mezzi rivoluzionarii. Potevasi fin d’allora prevedere che agli antichi mali sarebbesi aggiunte le deluse speranze dei partiti estremi, il malcontento di quanti si promettevano fortune e favori del nuovo ordine di cose, l’ostilità d’infinite suscettibilità offese, lo spostamento di molti interessi e la difficoltà gravissima di rimettere al posto loro tutti i bassi elementi che ogni violenta commozione dagl’infimi fondi sociali fa venire a galla. Difatti appena stabilito colla Luogotenenza, un regolare Governo, queste difficoltà vennero man mano manifestandosi». Annota – in particolare – «[i]l gran numero di coloro che pensavano che la libertà e la nazionalità fossero sinonimo di ricchezze, d’impieghi e di pane, si trovarono delusi e malcontenti». 

Lascia Napoli in una situazione che rimane intricata.

«Lascerò Napoli diventata davvero provincia italiana, non nello spirito della popolazione (per questo ci vorrà un po’ di tempo), ma nella forma dell'amministrazione. I pericoli però non sono affatto passati. Pensi che abbiamo infiniti soldati borbonici sbandati, senza occupazione, senza vitto. Abbiamo i briganti che in primavera occuperanno i monti. Abbiamo il clero nemico; i garibaldini malcontenti, irritati, affamati. Cinquecento di essi, dopo aver preso congedo e soldo per tre mesi, si trovano ora qui in preda alla peggior consigliera, la fame, che girano le strade di Napoli, rubando per vivere. Abbiamo le febbri tifoidee che imperversano nei reduci di Gaeta e mettono in commozione la città. Gli ufficiali napoletani di terra e di mare irritati, malcontenti, mal ricevuti dai nostri; l’aristocrazia, avversa, fa il lutto dei Borboni a Portici […].

Gli operai dell’arsenale e delle ferrovie inquieti. L’immenso numero dei municipali offesi nei loro interessi. I devoti in soqquadro per l’abolizione dei conventi. Gl’impiegati, gli infiniti curiali, e l’immensa caterva di chi viveva d’elemosina ufficiale e di ruberie, implacabile […]. I cittadini reclamanti di continuo contro la gravezza degli alloggi militari. Gli ufficiali piemontesi, gl’impiegati piemontesi e tutto quello che viene dall’Italia settentrionale, non cessano dal dire apertamente e declamare ogni sorta d’ingiurie (talora meritate) contro tutto quello che vedono ed odono qui.

Ecco in qual bolgia mi ha mandato. E per sopramercato pochi carabinieri e poca forza nelle provincie. E un'amministrazione corrottissima da capo a fondo. Pessima stampa. Popolo docile sì, ma instabile, ozioso ed ignorante. Viveri relativamente cari. E in capo a questo quadro la figura gigantesca di Garibaldi, che grandeggia dal suo scoglio di Caprera e getta fin qui la vasta sua ombra».

 

Lettera per l’interno della città di Napoli del 15 febbraio 1861 – due giorni dopo la caduta di Gaeta
 affrancata con un esemplare da 1 grano dei De Masa:
 e indirizzata a “Sua Eccellenza Il Commendatore Costantino Nigra”,
ospitato nel Real Palazzo che fu dei Borbone.

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