Il tricolore siciliano

Napoli, estate 1860: la capitale del Regno delle Due Sicilie manda in scena un carnevale fuori stagione, tutti si mascherano per partecipare a un gioco di trasformismo spudorato, tra meraviglia, curiosità e timori.

Il primo a travestirsi – a indossare il costume del patriota – è Re Francesco II, tra un riluttante realismo e una sorprendente avventatezza, e insieme al Re si travestono la bandiera del Regno, il linguaggio del Governo e lo stile della dinastia: l’Atto Sovrano del 25 giugno accoglie il tricolore nel vessillo delle Due Sicilie, ripristina la Costituzione del 1848 «in armonia co’ principi italiani e nazionali» e concede l’amnistia per i reati politici.

Giornale L’Omnibus del 27 giugno 1860,
con la notizia dell’emanazione dell’Atto Sovrano, 
pubblicato integralmente insieme alla composizione del nuovo Governo
e alla comunicazione dei festeggiamenti previsti dalla Corte borbonica.
«Il giorno 27, tra le salve dei legni ancorati nel porto» – scrive Raffaele de Cesare 
«s’inalberò la bandiera tricolore sui castelli e sulle navi da guerra».

«Il paese è in tale processo di trasformazione che non è possibile immaginarlo» scrive Silvio Spaventa. Erano borbonici «perfino i gatti di casa» ricordava l’esule Settembrini, ma ora – annota lo storico Raffaele de Cesare – sono «diventati tutti liberali».

Ancora in primavera il Governo poteva arrestare un artigiano per aver pronunciato frasi ambigue o dei ragazzi per atti di ribellione verso il nuovo parroco. Ora, davanti ai tumulti scoppiati in città, il Ministro della Guerra raccomanda di ripristinare l’ordine «sempre però ai termini delle leggi in vigore», di sciogliere gli assembramenti «con modi urbani e prudenti» e rassicura che «la forza non sarà usata che nei casi estremi di assoluta necessità».

A luglio il Teatro San Carlo ospita uno spettacolo di beneficenza per la raccolta di fondi a favore di ex detenuti e esuli. Re Francesco partecipa alla colletta, con duemila ducati.

Com’è lontano il 1858! Sono passati poco più di due anni, e ne sembrano trascorsi almeno venti.

Il carteggio tra il Principe di Castelcicala – Luogotenente del Re in Sicilia – e il Ministro di Sicilia in Napoli – Giovanni Cassisi – restituisce tutta la loro apprensione per non urtare la sensibilità di Sua Maestà Ferdinando II, nella progettazione dei francobolli per i dominî al di là del Faro: «facilitare negli uffici postali la verifica del valore dei bolli», perciò stamparli «in carta in differenti colori», ma evitare di mettere in circolo esemplari che possano «offrire combinazioni di colore non riconosciute dal nostro Real Governo», impedire «qualunque combinazione di colori non permessi».

Inibire – in tre parole – la composizione del tricolore italiano, ora festeggiato a colpi di cannone.

 
 
 
 
 

Le accortezze del Castelcicala e del Cassisi restarono lettera morta.

L’emissione siciliana conterà sette valori di tinte diverse – giallo, verde, azzurro, rosso, blu, ardesia e bruno – uno spettro di colori capace di generare una gran varietà di combinazioni cromatiche, tra cui l’avversato tricolore italiano, ma anche tanti altri, più suggestivi, fascinosi e accattivanti.

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