LE STORIE DIETRO LA COLLEZIONE – Le Due Sicilie, al di qua e al di qua del Faro

Il Regno di Sicilia sorge la notte di Natale del 1130, a opera del normanno Ruggero II d’Altavilla – figlio di Ruggero I, il conquistatore della Sicilia dagli arabi – come unione della Contea di Sicilia col Ducato di Puglia e Calabria, e successivamente con Napoli, Amalfi, Gaeta, Sorrento, Spoleto e il Principato di Capua.

Alla nascita non vi è la percezione di due dominî separati, ma idealmente l’Isola si sarebbe trovata “al di qua del Faro” – in cui “Faro” è il toponimo per il braccio di mare tra la Sicilia e la Calabria, oggi Stretto di Messina – perché sarebbe stata la localizzazione della capitale, a Palermo, a stabilire la prospettiva da cui osservare il Regno.

 

Nel 1194 l’Imperatore del Sacro Romano Impero Enrico VI – sposato con una discendente di Ruggero – dà il via al dominio svevo; vi succede Federico II, lo Stupor Mundi, a cui segue Manfredi.

Il Regno continua a chiamarsi “di Sicilia”, e la capitale è ancora a Palermo; Napoli è solo una delle tante province.

 

Gli Svevi non hanno soggezioni verso la Chiesa, se addirittura non vi sono ostili, al punto che Papa Clemente IV invoca l’intervento degli Angioini per allentare la morsa in cui l’Impero ha stretto lo Stato Pontificio.

L’arrivo degli Angiò segna la prima distinzione tra i due dominî, secondo la ricostruzione dello storico Giovan Antonio Summonte, nel suo Breve trattato dell’isola di Sicilia e de’ suoi Re, perché il Regno di Napoli fu detto Sicilia, del 1604. «Papa Clemente IV, il quale investì e coronò Carlo d’Angiò di questi due Regni, chiamò quest’Isola e il Regno di Napoli con un solo nome, come si può vedere in quella Bolla, ove dice Carlo d’Angiò Re d’amendue le Sicilie, citra e ultra il Faro». Dunque – prosegue il Summonte – «questi nomi vennero da i Pontefici romani i quali cominciarono ad introdurre che ‘l Regno di Napoli si chiamasse Sicilia» e la prospettiva geografica del Papato fa sì che la Sicilia sia “di là” (ultra) e Napoli “di qua” (citra) del Faro.

Le vessazioni angioine in Sicilia suscitano la celeberrima rivolta del Vespro, che apre un conflitto tra gli Aragonesi (graditi ai siciliani, perché legati agli Svevi) e gli Angiò (che ne vantano il possesso legittimo).

La Pace di Caltabellotta – nel 1302 – conduce alla prima spaccatura formale del Regno: da un lato la Sicilia Citra Pharum (volgarmente tradotto in Regno di Napoli, perché Napoli ne è la capitale, sotto gli Angioini) e dall’altro la Sicilia Ultra Pharum (informalmente Regno di Trinacria, in mano agli Aragonesi), con entrambi i Sovrani che mantengono il nome “Sicilia” per i propri dominî (per preservare i diritti sull’Isola, il Re di Napoli; per evocare l’integrita delll’antico Regno, il Re di Sicilia).

 

La pacificazione sulla carta dei trattati non placa però i cuori di Angioini ed Aragonesi, non fa venire meno la loro ambizione di ripristinare l’unitarietà dell’antico Regno normanno.

Nel 1443 la spunta Alfonso d’Aragona: riconquista i dominî continentali e li riunisce con quelli peninsulari – a titolo personale – sotto il nome di Rex Utriusque Siciliae, alla lettera “Re di entrambe le Sicilie”, che le fonti d’epoca traducono in “Re dell’una e dell’altra Sicilia”.

 

Ferdinando Il Cattolico – discendente di Alfonso d’Aragona – inizierà a usare abitualmente il titolo di “Re delle Due Sicilie”: era Re di Spagna, ma anche delle Due Sicilie, che sotto la sua reggenza diventano un vicereame.

Nel 1516 Carlo d’Asburgo – Re spagnolo e Imperatore del Sacro Romano Impero – consolida l’unione con la Spagna, e i successori continuano a farsi chiamare “Re delle Due Sicilie” (la dicitura “Re di Napoli” compare solo su qualche moneta di Filippo II, Filippo IV e Carlo II).

Alla morte dell’ultimo Re spagnolo della casata d’Asburgo, nel 1700, la questione della successione agita tutti i governi d’Europa. Le mediazioni diplomatiche falliscono, e così è guerra. Se ne viene a capo nel 1715 col Trattato di Utrecht, che – tra le varie riallocazioni di potere – assegna la Sicilia ai Savoia e Napoli all’Austria.

Nel 1717 scoppia la Guerra della Quadruplice Alleanza, tra la Spagna da un lato, e Gran Bretagna, Francia, Austria e Paesi Bassi dall’altro, per il predominio sul Mar Mediterraneo. Gli spagnoli ne escono sconfitti, perdono i possedimenti nella penisola italiana, e il Trattato dell’Aia – nel gioco delle trattative politiche – stabilisce il passaggio dell’Isola dai Savoia agli Asburgo (già insediati a Napoli).

Allo scoppio della Guerra di Successione Polacca, Carlo di Borbone – figlio della parmense Elisabetta Farnese, Regina di Spagna – prevale sugli austriaci e si prende prima il titolo di Re di Napoli (nel 1734) e poi di Sicilia (nel 1735).

Inizia a definirsi Rex Utriusque Siciliae, tradotto per la prima volta come “Re delle Due Sicilie”.

Permane però la divisione in due dominî, ognuno con la sua capitale, e Ferdinando – il figlio di Carlo – sarà incoronato a Napoli col numerale IV e a Palermo con il III.

 

L’esercito francese invade Napoli due volte – nel 1799 e nel 1805 – nel corso delle guerre napoleoniche.

Re Ferdinando si rifugia nei dominî “al di là del Faro”, in Sicilia, accolto con calore sia dalla nobiltà che dal popolo, senza che l’affezione dei siciliani gli susciti particolari entusiasmi.

Il trambusto rivoluzionario coinvolge persino agli aspetti tassonomici: Gioacchino Murat è nominato “Re del Regno delle Due Sicilie” – da Napoleone Bonaparte in persona, nello Statuto di Bayonne del 1808 – anche se non ha mai conquistato l’Isola su cui ora risiede Ferdinando di Borbone, che può legittimamente esibire lo stesso titolo. 

Il Regno nel periodo napoleonico.

Re Ferdinando smania per tornare a Napoli, la sua città natale, e il Congresso di Vienna lo accontenta, se pur con una disposizione di leggendaria ambiguità: ristabilisce un «regno delle due Sicilie» – che a rigore non è mai esistito, se non nella colloquialità dei Sovrani – ma non autorizza alcuna unione tra Napoli e Sicilia, a differenza di altri casi simili (Genova rispetto al Regno di Sardegna, Venezia e Milano rispetto al Lombardo-Veneto).

 
L’articolo 104 dell’Atto finale del Congresso di Vienna.

Unire la Sicilia a Napoli era d’altra parte un’idea di lungo corso, nella corte di Re Ferdinando.

Luigi de’ Medici – il più valente dei ministri – pensava a “napoletanizzare” l’Isola già quando il Re soggiornava a Palermo, e scriveva alla Regina Maria Carolina che perfino il regime costituzionale – introdotto nel 1812, per contentare la nobilità locale – era un male minore rispetto alla mancata unificazione dei due Regni.

Alvaro Ruffo – a Vienna, per conto del Re – era ancora più esplicito: «se questo paese [Napoli e Sicilia] non è uno, se non è unico l’interesse dei governanti, non essendo sufficiente che unico sia quello del re, la scena del 1798, la scena del 1805, anche senza Bonaparte si potrà facilmente ripetere».

Prende perciò concretezza la prospettiva di un inedito Regno delle Due Sicilie, al fine statuito con la legge dell’8 dicembre 1816, che lo presenta come esecuzione dell’articolo 104 del Trattato di Vienna: Re Ferdinando – sino ad allora III di Sicilia e IV di Napoli – diventa Ferdidando I delle Due Sicilie.

La scelta si rivelerà fallimentare: tra il 1815 e il 1860 non sorgerà nessuna unità politica e morale tra siciliani e napoletani, come in fondo non vi era mai stata neppure nella Sicilia normanna e sveva, dal 1130 al 1266, prima che i Vespri del 1282 creassero la spaccatura.

Non solo. Con la nascita delle Due Sicilie – con la sua codificazione formale – l’Isola perde in un sol colpo ogni prerogativa e privilegio, si sente declassata a una tra le tante province di Napoli, e dà il via a una rivoluzione permanente: i dominî al di là del Faro si trasformano nella polveriera d’Italia, diventano il cuore di tenebra del Regno borbonico, il coltello pronto ad affondare nelle carni della dinastia, sino a realizzare una parodossale convergenza tra il separatismo siciliano e il movimento nazionale unitario, pur di liberarsi dal giogo napoletano.

Quando l’11 maggio 1860 sbarca a Marsala il «bandito di primo catalogo» Garibaldi – come lo aveva definito la sentenza di condanna a morte del Regno di Sardegna – l’Isola coglie l’occasione per infliggere un colpo mortale alle Due Sicilie.

E tutto finirà non già a Londra o a Parigi, ma nella più vicina Palermo, laddove tutto era iniziato, la notte di Natale del 1130.

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